Sangha del mese di maggio 2014: Wake Up Arezzo
Mi chiamo Fabrizo. Ho 34 anni. Sono lauraeato in Filologia moderna e, attualmente, faccio l’insegnante privato.
Vivo nel centro di Arezzo, una tranquilla città toscana, nella quale mi muovo sempre a piedi e dove trascorro gran parte del mio tempo libero nelle aree verdi della nostra città: un borgo medievale, costruito e protetto da antiche mura di fortificazione, dalle cui alture, si possono contemplare le cime di vecchie torri che spuntano, qua e là con i loro merletti grigi, ricordo di un tempo passato che, passando e passando, è ancora quà.
Ben vivo, come le guglie delle molte chiese arroccate nel cuore della cittadella. Dalla finestra di camera mia, si vede la punta rossa del lungo campanile della cattedrale, che sembra una matita appuntita nelle vastità del cielo.
Amo la muisca e la scrittura. Quando canto mi sento libero. Quando scrivo, mi sento trasportato dalle mani di una scintilla sacra. Amo ridere.
Mi sento bene quando con un’altra persona si crea un momento sacro di intimità: e insieme ci si sente amici da sempre, anche se non ci si conosce abbastanza: per me è la conferma silenziosa di un legame perpetuo che ci unisce agli altri oltre l’apparenza delle nostra esperienza nel tempo delle conoscenze storiche; della vita che si salda oltre la vita, là dove c’è altra vita ancora.
E’ una questione di fede semplice, non di idee; non si può spiegare; la si può solo sentire.
E’ da circa due anni che ho incontrato la pratica meditativa e l’insegnamento di Tich Nhat Hanh. E’ successo tutto all’improvviso, nella primavera del 2012 e apparentemente in maniera casuale: premettendo che non credo al caso, credo piuttosto che fosse semplicemente arrivato il momento giusto.
Inizialmente, ho iniziato a meditare a casa con un ristretto gruppo di amici, i più intimi, che, come me, avevano incontrato un insegnante locale di dharma, il quale ci ha lentamente avviato alla pratica del respiro consapevole, offrendoci delle belle e nutrienti lezioni.
Con il passare del tempo, ciò che in primo momento era forse più un modo diverso e una curiosa opportunità per condividere alcuni momenti quotidiani con gli amici in maniera del tutto nuova, senza continuare a ripetere i medesimi schemi di socializzazione, si è poi gradualmente trasformato in un percorso di formazione spirituale; sentivo già allora, il bisogno di mettere ordine nella mia vita: dopo circa un anno di pratica, imparando a convivere e accettare le resistenze alla pratica stessa, il bisogno e l’amore di prendersi cura di sé è sensibilmente cresciuto al punto di creare un gruppo di ritrovo, un sangha, per continuare a crescere sempre di più, in fede di una energia prolifica da condividere con questa comunità.
Quante persone frequentano la riunione del sangha ogni settimana?
Quattro persone. Ma un altro componente di questo appena nato sangha vive attualmente a Plum Village: e per noi, nelle condivisoni che facciamo con lui settimanalmente, è un membro attivo, nonostante si trovi “lontano”.
Quando e quanto spesso vi incontrate?
Regolarmente una volta a settimana: il giovedì mattina, dalle 11:00 alle 13.00.
Al di fuori delle pratiche del Sangha, organizzate anche attività per divertirvi e conoscervi l’un l’altro?
Sì. Ci troviamo con altri ragazzi della città (cinque in tutto) per trascorrere una serata alla settimana, solitamente il martedì, nella quale prima meditiamo e poi trascorriamo del tempo in armonia, giocando, parlando, ascoltando, e cercando di rispettare la parola dell’altro e offrirci nell’ascolto.
Inoltre, più raramente, ci ritroviamo tutti assieme per organizzare serate di libera espressione: ognuno condivide una propria passione, sia essa una informale session musicale o letture, o pitture.
All’interno del vostro sangha, hai dovuto affrontare qualche sfida? O è stata più o meno tranquilla?
Tutto è nato in maniera spontanea e armiosa. Nessuna sfida o prova.
Come facilitatore del Wake Up, qual è stato il tuo momento più difficile finora?
Ancora non ci sono stati momenti difficili; cerchiamo di essere coinvolti tutti quanti allo stesso modo: durante lo svolgimento dei nostri incontri, ogni volta chiediamo chi si senta di guidare la meditazione, dopodiché ognuno porta la sua libera voglia di parlare, o leggere qualcosa che ritiene salutare per il sangha.
Questo sangha è nato da poco e presenziato da poche persone, al momento: siamo tutti coetanei e con esperienze simili trascorse: forse questo sta facilitando l’unione. Tengo a dire che in questo Wake up nessuno ricopre un ruolo di facilitatore maggiore rispetto ad un altro membro.
Qual è la tua più grande paura per il vostro Sangha?
Che, con il passare del tempo, e con un auspicato arrivo di persone nuove, aumentando nel numero, nella quantità fisica di persone, sia forse più difficile gestire l’andamento degli incontri. Ma, credo sinceramente che quando questo avverrà, saremo sostenuti dalla gioia di crecere, piuttosto che dalla paura di involvere.
Qual è il tuo sogno più grande per il vostro Sangha?
Quello di ospitare persone nuove, con le quali poter condividere momenti di allegria, idee, azioni: il sogno più grande sta nel fatto di arrivare ad avere un’identità sempre più solida e, magari, riuscire ad organizzare un evento qui, nella nostra città, dove potersi incontrare con altri sangha di altre dimensioni locali; e, dare vita ad una settimana di consapevolezza “aretina”.
Qual è il tuo più grande sogno per la vostra pratica?
Per il momento, riuscire a portare il Wake up di Arezzo al completo a Plum Village: cinque ragazzi! E assistere tutti assieme a una sessione di Dharma talk di Tich Nhat Hanh.
Come la vostra pratica e l’impegno con il Sangha ha influenzato la tua visione di vita?
Da quando ho deciso di seguire gli insegnamenti di Thai, sta cambiando la mia energia sia nei confronti della mia vita privata, personale in relazione con la vita esterna, sia con il sangha: sono enormemente cambiati e migliorati i rapporti con la mia famiglia, ma soprattutto cerco di mantermi stabile e in linea con le passioni che ho, cercando di rafforzarle dentro di me; così mi trovo quotidianamente a non soffrire più per cercare di difendermi dagli attacchi altrui, perché io stesso ho ridotto i miei gli attacchi nei confronti degli altri. Cerco di difendere la vita.
Anche se c’è molto da migliorare, ora mi rende estramente felice essere grato: la gratidutine verso ciò che si ha, verso ciò che si è un punto di vista nuovo sul mondo; con la pratica del ringraziare l’orizzonte si avvicina, e dagli occhi la prospettiva cambia, allineandosi e lasciandosi guidare dai movimenti del cuore.
Ha avuto un impatto sul vostro rapporto con amici e famiglia?
No. Personalmente tutte le persone che fanno parte della mia vita sono a conoscenza della pratica meditativa che svolgo, ma nessuno mi crica. Ritengo oppotuno mantenermi stabile nei confonti degli altri: è questo che fa la differenza.
Quando le persone ti percepiscono sereno non sentono la necessità di attaccare ciò che fai, ma piuttosto beneficiano della tua presenza, della tua vitalità.
Per me è molto semplice proteggere la mia vita spirituale: la condivido con chi sta praticamente praticando e seguendo il medesimo percorso.
Come descriveresti Wake Up a chi non ha mai praticato?
Un momento di incontro dove si sta assieme, senza essere troppo diversi da ciò che si è. E’ radicato nell’immaginario comune la visione che, praticando, meditando, una persona debba abbandonare o sacrificare parti della propria vita. Ritengo molto difficile e, per me poco prolifico, cercare di convincere altre persone a praticare.
Quando per una persona arriva il momento giusto, è ella stessa ad attrarre questa opportunità. Perché questa opportunità non dipende da me o da qualcun altro, essa è viva e forte di per sé: esiste! E si muove nel mondo viaggiando con energia propria. Quando una persona è pronta, ha già dentro di sé il seme per poter ascoltare o ricevere una descrizione di mindfulness. E da quel momento, il viaggio è lungo e non finisce mai. C’è chi parte e si ferma; chi non si ferma mai, perché piano piano scopre che, forse, non c’è bisogno di partire.
Descrivere a chi non pratica è possibile: per ciò che mi riguarda lo considero un atto un po’ faticoso.
Ripeto: l’unico modo di descrivere è “fare l’esperienza” e stabilire, piano piano con se stessi, in che direzione andare.
Ogni percorso è legittimo.
Oggi ciò che mi rendo un po’ più libero è proprio questo: imparare a non dipendere totalmente dai percorsi altrui; imparare che non si può descrivere esperienze a chi non ha intimamente deciso di intraprenderle; accettare che esistono altri percorsi diversi dal mio.
Oggi, forse, mi sento più sereno, perché tutta quella volgia di descrivere agli altri non c’è più.
Magari un invito, certamente; a me è stato offerto dalla vita e, nel modo in cui sono stato in grado di colgierlo, l’ho colto.
Oggi continuo a difenderlo, imparando sempre di più quanto è difficile lottare con le proprie resistenze: figuriamoci con quelle degli altri.
Si può solo accettare, serenamente.
Ciò che mi rende felice è che, a prescindere dal percorso che ciascuno intende compiere (anche se questo percorso non ha apparentemente niente di spirituale), negli ultimi anni ovunque è cresciuta attorno a me (e dunque anche dentro di me) una miriade di attività volte alla scoperta dell’interiorità.
Questo significherà pur qualcosa?
No?!
Se vuoi visitare il Sangha, si prega di contattare loro a arezzo[at]wkup[dot]org